Ciò che Fitzgerald sembrava aver profetizzato in uno dei suoi libri, analizzato con lo sguardo di oggi.
Nonostante l’evidente fastidio che molti giovani provano quando si sentono “nominati” in tv, quando quindi il mondo degli adulti cerca di invadere il loro spazio per comprenderli meglio, su una cosa sono tutti d’accordo, sia adulti che giovani: i ragazzi delle nuove generazioni sono sempre più tristi. Per carità, i genitori più spavaldi che pensano che questa cosa non interessi o non interesserà mai i propri figli ci sono sempre, ma è un fenomeno sempre più sotto gli occhi di tutti e che non può più essere ignorato a lungo.
Innanzitutto, prima di lanciarsi in teorie sconclusionate sulle possibili cause, quanto c’è di vero in tutto questo? Le nuove generazioni sono davvero più tristi e scoraggiate, così come Fitzgerald descriveva alcuni dei suoi giovani personaggi? Senza girarci troppo in tondo, la risposta è semplicemente sì. Secondo l’Unicef, solo nell’UE circa 11,2 milioni di bambini e ragazzi (sotto i 19 anni), quindi uno spaventoso 13%, soffrono di problemi di salute mentale.
L’aumento di notizie del genere è sicuramente anche dovuto all’aumento di interesse degli ultimi anni nella psicologia/psichiatria e nella cura della salute mentale. Ma proprio il fatto che tanti ragazzi scelgano di buttarsi nello studio di questo campo per comprendere sé stessi e i propri coetanei meglio, è sintomo di una forte necessità di chiarezza alla base.
Perché quindi i giovani si sentono perduti? Il mondo contemporaneo non offre forse molte più possibilità rispetto a prima? In fondo Internet e la globalizzazione avranno sicuramente avuto i loro vantaggi, questo è innegabile. Ma qui andiamo incontro a uno strano paradosso, dove la “stanza” si è contemporaneamente allargata ma anche ristretta. I giovani hanno fin troppe scelte e, il non sapere fin da subito che cosa farne del proprio futuro, genera in loro un senso di ansia e paura di mettersi in mostra, che fa sì che in mezzo a tante possibilità, non si riesca a sceglierne nemmeno una. La paura di sbagliare strada e di conseguenza di perdere tempo, e quindi la vita da vivere, li immobilizza a tal punto da non fargli prendere scelte.
Questo si ricollega sicuramente alla famosa FOMO (Fear Of Missing Out, “la paura di perdersi qualcosa, o di essere esclusi”). I giovani sentono ancor più di prima il peso del tempo che scorre. Vedono quanto i social risucchiano parte di questo loro tempo, ma il costante aumento di velocità della vita e la diminuzione della soglia di attenzione fa sì che comunque molta della loro vita venga speso dietro gli schermi; fenomeno che in realtà colpisce allo stesso modo anche gli adulti, che faticano però ad accettarlo o ad ammetterlo. Non c’è bisogno di spiegare come un eccessivo tempo speso dietro ai social possa portare i giovani ad alienarsi, o a creare costanti paragoni con figure famose, creandosi degli standard non realistici e quasi mai raggiungibili a pieno.
Tutti mostrano costantemente il meglio (e solo quello) delle loro vite, facendo sentire molti giovani in difetto, come se non stessero sfruttando bene il loro tempo.Come se si stessero perdendo “qualcosa”, se non tutto.
Su alcune cose invece i “limiti” e le regole sono diventate più pressanti. Soprattutto negli ultimi vent’anni, fin da quando nascono, i giovani si sentono dire che vivono su un pianeta coi giorni contati e che se non si cambiano subito determinate abitudini, il mondo in cui vivranno i loro figli (sempre se avranno voglia di farli) sarà terribile.
La situazione in Italia poi, per quanto riguarda le possibilità lavorative ha già di per sé una brutta reputazione. Ma in generale trovare lavoro è un impresa sempre più difficile, non solo nel nostro paese, soprattutto quando i giovani non vengono visti come risorse, ma come carne fresca da sfruttare e pagare poco senza sentirsi in colpa.
Le vecchie generazioni però, soffermandosi alla superficie, sentendo solo le lamentele senza tutto il contesto che c’è dietro, vedono i ragazzi come degli sfaticati, affibbiandogli etichette per nulla piacevoli, senza contare le condizioni completamente diverse in cui invece sono cresciuti .
Il vizio di screditare le nuove generazioni l’uomo non se l’è mai tolto, lo fa da sempre; il tutto nasce semplicemente da una mancanza di comprensione. Ma si dovrebbe capire che nell’ultimo secolo il mondo è cambiato in pochi anni come mai prima d’ora, e forse anche i nostri metodi e le nostre abitudini dovrebbero farlo, magari evitando che gli adulti di oggi giudichino i loro figli in base ad unità di misura sbagliate, ormai obsolete, che andavano bene forse in un mondo ben diverso come quello che era il loro.
Questo tipo di consapevolezza non deve abbattere nessuno. Incontrando queste difficoltà, i giovani hanno comunque aperto gli occhi. Una generazione così attenta alla salute mentale e alla lotta per il futuro non si era mai vista, non a questi livelli almeno. C’è tanto da imparare da loro.
Insomma, se i giovani li vedete tristi un motivo (anche più di uno) ci sarà, e il loro malumore non sparirà di certo da solo. L'importante è non iniziare a romanticizzare il proprio malumore, evitando di sguazzarci dentro come se fosse parte del proprio essere. Si deve parlare e comunicare con loro; tante cose che a molti sembrano scontate, per loro possono avere un peso e un valore diverso.
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