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Immagine del redattoreVincenzo Pellegrino

Le maschere


La danza delle maschere tra la vita e le tavole del palcoscenico.


Il conforto di una maschera è un innegabile vantaggio, e una ineluttabile realtà. Lo aveva capito a modo suo anche James Ensor, il cosiddetto pittore delle maschere, maestro del simbolismo europeo. In uno dei suoi quadri più famosi si autoritrae circondato e oppresso da una moltitudine di volti spettrali e maschere che lo opprimono impedendogli i movimenti. Aderendo ai codici del simbolismo sembrava dirci che l'altro è sempre un problema, anticipando anche l'esistenzialismo di Sartre che negli altri vedeva l'inferno. Gli altri mettono paura perchè di fondo se ne teme il giudizio, e le parole di disapprovazione si sa sono molto taglienti. Vi è un sottile invito del sociale fin dai primordi, partendo dalle braccia familiari, a cercare sempre la protezione di un gruppo la cui protezione è un innegabile vantaggio, poiché gli altri non amano le fragilità, né le diversità e le piccole follie che a volte guidano gli umani. Le regole del gruppo aiutano a muoversi in un mondo in cui non esistono strumenti oggettivi fisici e naturali per misurare il valore di un individuo e aiutano a trovare direzioni in assenza di riferimenti.

É stato cosi da sempre, anche perchè le maschere danno forza. Siamo abituati fin da piccoli a indossare delle maschere per difenderci, come per esempio fare il bravo bambino in cambio di approvazione e per reggere alle pretese degli occhi degli altri, e questo fenomeno si è enormemente amplificato nella odierna società competitiva, dove il paragone con gli altri diventa una trappola dalla quale si ricavano soltanto mancanze e distanze incolmabili da impossibili modelli di riferimento. Piuttosto che essere giudicato per un atteggiamento estroverso, piuttosto che una bassa autostima, piuttosto che rischiare una emarginazione è molto meglio indossare una maschera anche a costo di un impoverimento della propria individualità, e di un allontanamento dalla propria autenticità. Certi temi attraversano sia le indagini filosofiche di Nietzche, il filosofo che vedeva nel folle l'unica scintilla di verità nella ricerca dell'essere, sia le trame della letteratura di Pirandello, l'autore teatrale che leggeva lo spaesamento dell'uomo nel rifiuto dell'accettazione di un ruolo imposto da una società opprimente.

 

La transizione verso un io autentico non è affatto facile, perciò da secoli le maschere imperversano. Si tratta di un lavoro profondo che ha a che vedere con un insegnamento antichissimo presente in tutte le culture e in tutte le civiltà; quello che alle nostre latitudini nasce dalla cultura greca antica: il famoso conosci te stesso. Soltando connettendosi con con il proprio vero io si è in grado di capire di cosa abbiamo veramente bisogno e quali sono i nostri veri desideri e non quelli imposti dai paragoni.

Potrebbe essere che una delle dinamiche terapeutiche di cui il teatro da secoli si autoglorifica sia proprio questa? Cioè una indagine su sé stessi favorita dall'esposizione alle innumerevoli dinamiche delle tante maschere che si affollano nel sociale, nella vita, e quindi sul palcoscenico, da cui arriva una restituzione catartica e un miglioramento del proprio essere?

La nostra identità è anche data da ciò che ci restituisce lo specchio della comunità, e molto spesso è intrecciata con il nostro desiderio di libertà e di ricerca di un io. Tutto è complicato da un lato oscuro presente nella psiche di ognuno di noi, al punto che l'equilibrio precario tra questi aspetti si rivela alquanto complicato. Una maschera è la prima difesa naturale. Si finisce quindi per identificarsi in un ruolo comodo e protettivo anche se ciò ci mantiene distante dalle nostre reali emozioni.


L'esperienza  che ci arriva da un palcoscenico arricchisce il piatto delle nostre corde emotive. Un po' come accade con la letturatura, o con il cinema, le rappresentazioni teatrali di sentimenti basilari come l'attrazione, l'invidia, la paura, la rabbia, la repulsione e la gioia, toccano corde profonde del nostro animo. Si possono leggere le nostre reazione ad emozioni forti o banali, che solleticano il pianto o la risata ma da una distanza che ci fa sentire al sicuro da qualsiasi coinvolgimento diretto; eppure sia il corpo che la mente ne sono investiti.

Nasciamo tutti già con dei modelli emotivi sociali e familiari con i quali veniamo allevati e poi lungo la vita si sviluppa un complesso mondo emozionale che deriva dal rapporto con gli altri, e con l'ambiente. E, come si vede, è un mondo così articolato che spesso esistono modi diversissimi di reagire alle stesse emozioni sia tra gli individui che tra le varie culture. Basta pensare alle differenze di comunicazione che esistono tra italiani e francesi, che pure son detti nostri “cugini”. I secondi molto riservati e i primi molto conviviali, affettuosi ed espressivi principi della gestualità. Eppure, quasi magicamente, le espressioni facciali universali come la rabbia, il disgusto, la paura e la felicità sono uguali su tutto il pianeta. Secondo gli studi di Ekman e Wallace tali espressioni sono per l'appunto universali e non necessitano di essere apprese per manifestarsi. Non a caso ricordano le prime maschere tribali ancestrali, e quelle che i greci antichi hanno codificato. Il teatro e le maschere, anche per il valore magico e spirituale che nel passato esse hanno rappresentato, conservano una forza unificante, per certi versi quasi prescrittiva e rassicurante, e al contempo hanno la possibilità di rompere tutti gli schemi e di sfondare i muri del non senso, del sogno e della follia. In questo mondo parallelo è permesso avere a che fare con qualsiasi archetipo sentimentale, anche il più oscuro, senza timori. Con un implemento notevole della intelligenza emotiva, che è una dote necessaria per una densa vita relazionale, e una chiave importante per andare incontro alla esortazione fondamentale iscritta sul tempio di Apollo a Delfi: conosci te stesso.

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