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Il teatro dei nostri antenati: più simile di quel che si crede.

Aggiornamento: 9 dic 2023


attori del teatro romano antico

Fin dall’antichità l’essere umano non ha mai avuto bisogno di stimoli per intrattenersi o distrarsi. La vita era già abbastanza complicata e le vicende quotidiane erano più che sufficienti per creare storie interessanti e aneddoti che attirassero l’attenzione a tavola. Non stupisce quindi che al tempo dei romani una delle prime forme di spettacolo e intrattenimento fosse proprio quella del teatro. Non c’era bisogno di chissà quale invenzione o mito perchè la gente prestasse ascolto, e si accingesse a “guardare”, come suggerisce l'etimo della parola teatro. L’uomo semplicemente imitava e raccontava se stesso, nel bene e nel male.

Proprio come noi, dividevano quest’arte in “commedia” e “tragedia”. Questo tipo di spartizione è dovuto, come gran parte della cultura latina, all’influenza di quella ellenica, probabilmente giunta a loro anche attraverso la mediazione di quella etrusca.

La “palliata” (dal pallio, tipico indumento dei Greci) corrisponde alla nostra commedia, e quando era di argomento romano, i latini la chiamavano “togata”, sempre facendo riferimento all'abbigliamento. Quando invece gli argomenti si facevano più seri e meno divertenti, si parlava di “cothurnata” (i cothurni erano i calzari degli attori tragici greci). Anche qui, quando i personaggi della mitologia Greca lasciavano il posto a quelli romani, la chiamavano "praetexta" (i vestiti dei magistrati del tempo).


La prima rappresentazione teatrale in lingua latina su testo è del 240 a.C., data considerata da molti esperti come l’inizio della letteratura latina, ad opera di Livio Andronico. Lo stesso autore a cui dobbiamo anche l’Odusia, la prima traduzione in latino dell’Odissea di Omero. Quest’ultimo era già letto in originale dall’elite romana, ma una traduzione in latino permise a molte più persone di accedere a quello che, senza rischi, potremmo definire come un testo fondamentale della cultura Greca. Proprio come i ragazzi dei giorni nostri penano ancora sul Latino, anche per gli scolaretti del I secolo a.C., il linguaggio di Livio era considerato difficile e arcaico, rendendone lo studio sicuramente noioso, soprattutto quando forzato.


Ma tornando al teatro, quando trovava il suo spazio nella società del tempo? Principalmente nelle occasioni di feste e celebrazioni religiose. Questo non deve farci pensare ad una forte componente spirituale all’interno del teatro, bensì a un legame quasi formale. Inni e formule religiose c’erano sempre state, ma la festa veniva più sfruttata in quanto momento di aggregazione, in quanto poi le tematiche trattate erano ben lontane dalla religione.

All’inizio le strutture erano solo provvisorie, in legno e in mezzo alla strada, tranne rare eccezioni di opere con ambientazione extraurbana. Le fonti ci dicono che il primo teatro di pietra a Roma venne edificato solo nel 55 a.C., per volontà di Gneo Pompeo Magno. Ciò non stupisce quando si scopre che autori e attori erano in realtà messi quasi sullo stesso livello e che il teatro ci mise un pò ad ottenere quella dignità che gli diamo oggi, nonostante la decadenza e la diminuzione dell’interesse in epoca contemporanea.


Quella dell’attore non era nemmeno una professione da uomo libero e veniva vista con non pochi pregiudizi. Il riconoscimento della loro professione fu lento e limitato, ma ciò non li fermò. Largo uso avevano per esempio le maschere, che permettevano ad un attore di recitare in più parti nella stessa opera. Ai più bravi venivano poi date quelle difficili, che contenevano per esempio i

“cantica”, che richiedevano molta abilità nell’essere eseguiti.

L’osservazione più interessante che si può fare sul teatro romano arcaico è forse però sui personaggi che lo animano. Esempi cardine e totalmente opposti, sempre condannati ad essere paragonati l’uno all’altro, sono gli autori Plauto e Terenzio.


Il primo, autore di decine di palliate, prediligeva personaggi semplici, facilmente riconoscibili, con ruoli predefiniti che lo spettatore individuava subito. Il vecchio avido, il giovane innamorato, ma soprattutto lo schiavo, spesso protagonista e risolutore dell’intera faccenda, più furbo e astuto di tutti. La sua era infatti una figura considerata irrealistica, ma che più di tutte strappava una risata allo spettatore. Plauto stupiva per la sua cosiddetta "inventiva verbale”, piena di indovinelli e giochi

di parole.


Terenzio invece puntava più in alto, all'elite. Basta stereotipi, basta maschere, era ora di mettere in scena degli individui veri e propri. Al contrario del suo collega, Terenzio ripudiava il metateatro, cercando di non abbandonare mai l’illusione scenica. Va però detto che questo ebbe delle conseguenze, Terenzio aveva molto più successo quando imitava Plauto. L’esempio più lampante è l’ ”Hecyra” (la suocera), che fu rappresentata per intero solo al terzo tentativo, questo perchè la gente si annoiava e si allontanava, distratta da altri spettacoli, giochi o gladiatori che combattevano.

Col tempo però Terenzio riuscì a conquistarsi il suo spazio e le sue opere entrarono addirittura nelle scuole. I Romani semplicemente non erano ancora abituati a quella profondità, ma la capirono col tempo.

Anche nel nostro teatro in realtà la commedia ha ancora tanto successo e forse l’ironia e il comico non perderanno mai quel mordente sul pubblico. Ciò che è interessante far notare è che in qualunque epoca l’uomo vuol vedere rappresentato se stesso. Vuol vedersi ridere, e vuol vedersi piangere.

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